Alma Laboris Business School - Smart working, il rovescio della medaglia: quali rischi nasconde?

Smart working, il rovescio della medaglia: quali rischi nasconde?

Smart working

Utilizzare uno strumento progettato per soluzioni differenti da quelle originarie, se da una parte è senso di efficacia, dall’altra è prassi pericolosa, se non fatto per il tempo strettamente necessario.

Questo è il rischio che corriamo se non ripensiamo alla corretta applicazione dello smart working, anche nel perdurare della crisi pandemica. Ripercorriamo progetti organici tramite i quali si generi un sistema di responsabilizzazione delle persone agli obiettivi organizzativi, che permetta agli stessi di trovare la propria realizzazione riappropriandosi dei propri tempi ed i propri spazi, in un ambiente di rinnovata e reciproca fiducia.

Cosa è accaduto allo smart working con la pandemia?

“Le Organizzazioni devono evitare l’errore di farsi trascinare dall’effetto moda, introducendo un cambiamento solo superficiale, senza cogliere l’opportunità di ripensare profondamente cultura e modelli organizzativi per liberare nuove energie dalle persone”, aveva preannunciato il sottoscritto in un articolo del 2015.

Ma consideriamo la grave crisi sanitaria che perdura da oltre un anno e che ci ha costretti a trascorrere nuovi periodi di lockdown: cosa è accaduto allo smart working?

Nell’ultimo anno la normativa d’emergenza ha determinato una semplificazione per la applicazione della normativa del Capitolo II Lavoro Agile L. 81/2017. Di fatto la forte transizione generata dai provvedimenti emanati per la gestione dell’emergenza Covid-19, ha fatto sì che il lavoro agile sia diventato un valido strumento per salvaguardia della salute e della sicurezza dei lavoratori, senza per questo rendendoli inattivi, ove ciò è applicabile.

È questo il principio della ‘semplificazione’ adottato che, unito alle circostanze di urgenza con cui lo smart working è stato attivato, ha determinato il venir meno dei principi cardine di un corretto approccio alla modalità lavorativa prevista da qualsiasi progetto, seppur pilota, impostati nelle organizzazioni del lavoro nel periodo “ante-Covid”.

Un approccio organico a una corretta applicazione di questo innovativo istituto, però, non potrà esimersi dal considerare l’importanza di fattori come:

  • l’esercizio dei poteri datoriali;
  • la limitazione del tempo di lavoro e disconnessione;
  • il luogo di lavoro;
  • gli strumenti di lavoro.

Spinta dalla situazione emergenziale, in questo periodo assistiamo spesso alla determinazione di specifici interventi normativi, che configurano lo smart working sempre più in una logica di welfare, come strumento sussidiario all’assistenza dei figli studenti, agevolazione per i dipendenti ‘fragili’ o che godono di permessi specifici per assistenza a familiari.

D’altro canto la contrattazione collettiva che ante l’applicazione della L. 81/2017 ha sopperito alla mancanza di una specifica normativa, ora sta ponendosi come opportuno momento di confronto per armonizzare le necessità organizzative dei datori di lavoro con le esigenze dei dipendenti. 

Smart working, occorre riprogettazione che renda centrale la persona del lavoratore

Probabilmente, proprio il livello di contrattazione collettiva potrebbe essere il sistema che potrà permettere una ridefinizione di una complessiva applicazione dello smart working come progetto che possa cogliere l’opportunità di ripensare profondamente cultura e modelli organizzativi, per liberare nuove energie dalle persone.

Riprogettazione sempre più necessaria e urgente per evitare che un’applicazione emergenziale del ‘tutti a casa’, che si protrae per un tempo troppo prolungato, possa provocare un rischio di stress correlato non più perimetrato all’interno del luogo di lavoro, ma esteso in questo sistema integrato e nel quale la persona rischia di non avere più consapevolezza della gestione del sistema, tra vita personale e attività lavorativa.

È evidente pertanto la centralità di un lavoratore che deve essere reso competente in questo nuovo approccio al lavoro e soprattutto aiutato ad assimilare un’evoluzione della cultura del lavoro che generi un contesto organizzativo sensibile al ‘comportamento personale’.

È in un simile ambiente ‘intelligente’ che lo smart working sarebbe certamente lo strumento adeguato a sostenere il cambiamento imposto, sì dalla pandemia ma soprattutto dai nuovi paradigmi di un lavoro non più basato su controllo e presenza, ma piuttosto su obiettivi e loro raggiungimento e dove la persona, nella sua interezza, rappresenta l’elemento centrale.

Un articolo a cura del dottor Corrado Cingolani,
Docente del Master in Gestione, Sviluppo e Amministrazione delle Risorse Umane e HR Manager

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