Presenteismo al lavoro: è sempre un bene per l’azienda?

Presenteismo al lavoro: è sempre un bene per l’azienda?

Potrà sembrare strano, ma chi si ostina a lavorare sempre può compromettere seriamente la produttività di un'impresa.

 

Tra un dipendente scansafatiche e uno dedito e ligio al dovere, non c’è confronto che tenga. Ma quando la presenza al lavoro diventa un’ossessione, le cose possono assumere una piega insidiosa e provocare un serio danno all’azienda. Non si tratta di scegliere tra chi dimostra abnegazione e serietà e chi, al contrario, tradisce una cronica tendenza al lassismo; ma di comprendere quanto il presunto attaccamento al dovere di alcune persone possa sortire effetti positivi in termini economici e produttivi. Stando ai dati delle ricerche condotte da alcuni esperti, infatti, il presenteismo al lavoro non sempre ripaga degli sforzi profusi. Ecco perché è bene parlarne e analizzare da vicino il fenomeno.

Chi sono i presenteisti

Sono affetti da presenteismo (che è l’esatto contrario dell’assenteismo) tutte quelle persone che, pur non godendo di perfetta forma fisica e mentale, decidono di andare comunque al lavoro. E che, in netto contrasto coi fannulloni e coi malati immaginari, si impongono di non mancare mai in ufficio, salvo casi del tutto eccezionali. Un recente sondaggio condotto da un istituto di ricerca londinese ha rilevato che, negli ultimi 10 anni, il numero dei presenteisti è pressoché triplicato, ma che, in termini meramente produttivi, il loro incremento non ha fruttato granché. Prima di comprenderne il motivo, cerchiamo però di capire cosa può spingere un dipendente che non sta bene ad alzarsi dal letto per andare a lavorare.

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Perché le persone scelgono la via del presenteismo

Secondo gli psicologi americani, Cary L. Cooper e Philip Dewe (autori del saggio “Stress. A Brief History”), le persone scelgono di percorrere la via del presenteismo al lavoro quando colgono un certo senso di instabilità e vogliono far vedere ai loro superiori che sono le risorse che si danno più da fare e che non meritano dunque di essere “sacrificate”. Detta in parole povere: quando i dipendenti percepiscono aria di crisi in azienda, tendono a comportarsi da veri presenteisti per evitare che il capo possa pensare di licenziarli a causa del loro scarso impegno.

Ma non è tutto: stando alle ricerche condotte da altri esperti, ci sono professionisti più esposti al rischio di contrarre serie forme di presenteismo. Gli operatori nei settori dell’educazione, della formazione e della sanità, ad esempio, si sentono così coinvolti in quello che fanno e talmente responsabili del benessere dei loro assistiti che non prendono neanche lontanamente in considerazione l’ipotesi di assentarsi (di tanto in tanto) o di staccare prima dell’orario pattuito. È ciò che succede, con una certa frequenza, ad insegnanti, educatori, medici, infermieri ecc… quando si rendono conto – o si convincono – che la loro assenza potrebbe arrecare danni alle persone con cui lavorano. Alle quali scelgono di dedicarsi, anche quando non si sentono in forma.

Perché il presenteismo può fare male alle aziende

Ma la loro dedizione rappresenta davvero un bene per l’azienda? I dati riportati dal Centre for Mental Health di Londra lo escludono, visto che il costo che le imprese devono mediamente pagare ogni anno per i maniaci del presenteismo (oltre 15 miliardi di dollari) supera di netto quello prodotto dagli assenteisti più incalliti (che si ferma a 8,4 miliardi). Chi sceglie di non assentarsi mai e si affatica più del dovuto rischia concretamente di lavorare male, impattando negativamente sulla produttività dell’intera azienda.

A fare la differenza non è, infatti, la quantità di tempo trascorso in ufficio, ma la qualità del lavoro portato a termine con successo. E non si trascuri il fatto che assumere la malsana abitudine di fare sempre tardi o di non concedersi mai le necessarie pause (durante la giornata o tra una commessa particolarmente impegnativa e l’altra) può produrre un vero e proprio senso di malessere che può tradursi in un’insidiosa forma di disaffezione per quello che si fa o in una marcata forma di insofferenza nei confronti delle persone per cui si lavora. Come dire che i presenteisti cronici – arrivati allo stremo – rischiano di accomodarsi sul lettino di qualche analista per affrancarsi dall’idiosincrasia che maturano nei confronti del mestiere che svolgono senza mai riprendere fiato.

Come venirne a capo

Parlare di morbo del presenteismo in un Paese come l’Italia che si è guadagnato (a torto o a ragione) la fama di terra dei fannulloni e dei perdigiorno potrebbe sembrare un’enormità, ma alla luce di quanto riferito fin qui, appare chiaro che il fenomeno non va sottostimato. Imporsi di lavorare quando la mente o il fisico non lo consentono – rischiando di vanificare il proprio lavoro o quello del team con cui si collabora – può essere un grave errore così come concedersi una vacanza ogni volta che qualcosa non va.

Come venirne a capo? Secondo gli esperti, occorre puntare su una nuova organizzazione del lavoro che permetta alle persone che non allentano mai la presa e tendono a non assentarsi mai dall’ufficio (anche quando non stanno bene) di svolgere parte delle loro mansioni a casa, beneficiando di quella flessibilità che potrebbe aiutarle a salvaguardare anche la loro sfera privata. Aiutare una risorsa in difficoltà a organizzare e gestire meglio il suo carico di lavoro significa, in definitiva, evitare che i presenteisti di oggi (che rischiano di fare male) diventino gli assenteisti di domani.

Fonte: Bianco Lavoro

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