Locazioni brevi, estensione del regime fiscale della cedolare secca ed obbligo di ritenuta alla fonte per gli intermediari immobiliari

L’articolo 4 del Decreto Legge n. 50 del 24 aprile 2017, nel testo convertito dalla Legge n. 97 del 21 giugno 2017, ha introdotto un nuovo regime fiscale per le locazioni brevi.

 

Note alla sentenza n. 2207 del Tar Lazio del 18 febbraio 2019

Il comma 1 definisce locazione breve il contratto di locazione di immobile ad uso abitativo avente durata non superiore a giorni 30 ed il comma 2 sancisce, espressamente, la possibilità di assoggettare i redditi delle locazioni brevi al regime della cedolare secca, di cui all’art. 3 D. Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011. Per combattere l’evasione delle imposte in questo settore, caratterizzato da un numero elevatissimo di operazioni parcellizzate e, pertanto, di difficilissimo controllo, il legislatore ha imposto la ritenuta alla fonte a tutti i soggetti che agiscono come intermediari immobiliari.

I commi 5 e 5 bis impongono infatti agli intermediari immobiliari ed ai gestori dei portali telematici, finalizzati a mettere in contatto persone per la ricerca di un immobile da locare, una ritenuta pari al 21% sull’ammontare dei canoni e dei corrispettivi all’atto del pagamento del beneficiario. Presupposto per l’operatività dell’obbligo di ritenuta è che i soggetti indicati ai commi 5 e 5 bisincassino i canoni (…) o intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi”.

Il comma 6 dell’art. 4 rinvia, per le disposizioni di attuazione degli obblighi informativi e di ritenuta, ad un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vogore del Decreto Legge n. 50 del 24 aprile 2017.

Il provvedimento attuativo è stato emanato dall'Agenzia delle Entrate il 12 luglio 2017 e la società Airbnb Ireland Unlimited Company, gestore dell’omonimo portale telematico finalizzato al contatto fra persone che ricercano immobili da condurre in locazione, lo ha impugnato innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.

La complessa vicenda giudiziaria, sorta all’indomani dell'emenazione del predetto provvedimento dell'Agenzia delle Entrate, è stata definita dal Tar Lazio con sentenza pubblicata il 18 febbraio 2019. La società ricorrente ha impugnato il provvedimento dell'Agenzia delle Entrate sotto numerosi profili.

Con i motivi di ricorso non sono stati denunciati soltanto vizi del provvedimento in sé, ma anche dell'azione amministrativa in generale, dacchè l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto disapplicare, secondo la ricorrente, il D.L. 50/2017 in quanto contrastante sia con gli obblighi previsti dalla Direttiva 1535/2015 UE che con i principi comunitari della concorrenza e della libera prestazione di servizi.

Le doglianze relative la mancata disapplicazione della legge nazionale, nel punto in cui si porrebbe in contrasto con le fonti del diritto sovranazionale, destano notevole interesse, perché hanno imposto al TAR Lazio di pronunciarsi sulla legittimità della disciplina fiscale introdotta dal legislatore nazionale. Il TAR ha respinto integralmente il ricorso, motivando diffusamente la compatibilità fra la recente riforma fiscale ed i principi comunitari.

La prima doglianza della società ricorrente riguardava la pretesa illegittimità del Decreto Legge 50/2017 alla luce della Direttiva 1535/2015 UE, che impone l’obbligo di notifica alla Commissione Europea delle norme tecniche.

La sentenza non indica quali ragioni siano state addotte, dalla ricorrente, per considerare quale “norma tecnica” i commi 5 e 5 bis dell’art. 4 D. L. 50/2017, tuttavia il percorso argomentativo seguito, dai giudici, nella esclusione di tale qualifica, è rigoroso e diffusamente motivato.

La Direttiva 1535/2015 UE, invocata da Airbnb, impone agli Stati membri di notificare alla Commissione Europea tutte le norme tecniche relative i servizi della società dell’informazione. I giudici, individuato il “servizio” rilevante nel caso di specie come quello della intermediazione immobiliare, passano ad esaminare la Diretiva invocata ricordando come solo le norme che pongono “requisiti generali per lo svolgimento di tali attività” oppure “specificazione tecnica la cui osservanza è obbligatoria per svolgere il servizio”, possono essere definite “norme tecniche” ai fini della applicabilità della Direttiva comunitaria.

In virtù di tale premessa i giudici escludono che l’obbligo di operare ritenute alla fonte possa essere qualificata come “norma tecnica”: l’obbligo presuppone infatti l’intervento del mediatore nei pagamenti dei canoni e dei compensi, ma tale intervento non è essenziale al servizio di intermediazione immobiliare.

L’obbligo di ritenuta, che non colpisce ogni intermediatore immobiliare, ma soltanto quello che intervenga nei pagamenti, non condiziona lo svolgimento del servizio; il servizio di intermediazione può essere svolto, infatti, anche con altre modalità, tali da escludere l’intervento nei pagamenti e, conseguentemente, l’operativi degli obblighi di cui al D.L. 50/2017. Il TAR Lazio ha respinto altresì i motivi di ricorso fondati su una asserita indebita restrizione della libertà di prestazione dei servizi e della concorrenza.

La ricorrente ha lamentato che la imposizione dell’obbligo di ritenuta ad alcuni operatori (e non ad altri) sortirebbe l’effetto di falsare la concorrenza rendendo, per i primi, molto più difficile l’esercizio della attività: secondo la prospettazione della Airbnb, gli utenti sarebbero propensi a rivolgersi ad altri operatori pur di evitare la ritenuta alla fonte. Anche tali argomentazioni sono state ritenute non condivisibili dai giudici.

Il TAR ha infatti rilevato come l’obbligo di ritenuta alla fonte, imposto solo agli intermediari che intervengono nei pagamenti, non rappresenti una discriminazione bensì soltanto il trattamento diverso di fattispecie diverse. È logico infatti che l’obbligo di ritenuta possa essere assolto soltanto da coloro che gestiscono materialmente le somme e che quindi intervengono nei pagamenti. Gli intermediari che non intervengono nei pagamenti integrano una fattispecie diversa, che ben può essere disciplinata diversamente.

Né, secondo il TAR, è ravvisabile una violazione del principio di libera prestazione dei servizi quando si impone agli intermediari non stabiliti nel territorio italiano, di nominare un rappresentante fiscale.

La società ricorrente richiama alcuni precedenti della Corte Europea di Giustizia ove l’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale è stato considerato in contrasto col principio di libera prestazione dei servizi, perché erano configurabili soluzioni alternative che avrebbero permesso, comunque, il raggiungimento dell’obiettivo (controllo della evasione fiscale), senza però recare pregiudizio al soggetto non stabilito.

Il TAR ha rilevato come, stante il numero elevato delle locazioni brevi e la durata dei rapporti contrattuali (per l’appunto inferiori ai 30 giorni), nessun meccanismo di controllo potrebbe arginare il fenomeno di evasione delle imposte con la stessa efficacia dell’obbligo di ritenuta alla fonte.

Il TAR ha quindi ritenuto che le misure previste dal legislatore nazionale arrechino, al soggetto non stabilito, un pregiudizio accettabile e comunque non incompatibile con i principi comunitari. Non è dato sapere se Airnbnb deciderà di proporre appello innanzi al Consiglio di Stato.

Si segnala, però, che l’ordinanza cautelare resa nell’ottobre 2017 dal TAR Lazio, con la quale veniva respinta la richiesta di sospsensione del provvedimento impugnato argomentando anche sulla assenza di carattere discriminatorio, è stata confermata dal Consiglio di Stato che quindi ha già conosciuto la vicenda ed avallato, seppure all’esito di una trattazione sommaria, la decisione del giudice di prime cure.

Avv. Luigi Polidoro

 

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