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Gaming e giornalismo, cosa possiamo imparare: i più famosi newsgame

I giornalisti hanno utilizzato i giochi per raccontare storie sin dai primi anni 2000, ma i cosiddetti newsgame, giochi che trasformano il giornalismo in gameplay, devono ancora convincere gli editori ad aggiungerli alla loro copertura quotidiana.

Un interessante approfondimento a cura del ricercatore britannico Nick Donaldson, specializzato nel campo UX experience e design, ha raccontato di come il meccanismo intrinseco dei giochi possa essere importante nel percorso di formazione di un giornalista: “I giochi hanno vittorie e sconfitte, e questo è esattamente ciò che li rende così collegati alla risposta alla dopamina del cervello umano. Ma quell'idea di una chiara vittoria e sconfitta non è facilmente trasferibile al mondo dei media, quindi è più difficile da replicare”, afferma Donaldson.

Un’opportunità tutta da scoprire, insomma. Donaldson avverte che sebbene gli editori possano imparare dal game design, la ludicizzazione pura. Un processo che ha al suo principio elementi come la creazione di abitudini, la narrazione visiva.

Un tipico esempio proviene dal New York Times, che nel 2003 lanciò “September 12th”, evidente rimando agli attentati del Global Trade Center dell’11 settembre 2001. In questo gioco i giocatori prendono il controllo di un reticolo puntato su una città a chilometri di distanza e hanno il compito di uccidere i terroristi lanciando missili. Per non uccidere i civili nella loro operazione, i giocatori devono necessariamente evitare di sparare; un chiaro messaggio di rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie.

Ma l’esempio più vincente è quello di The Uber Game, creato dal Financial Times, che ha vinto il premio Excellence and Innovation in Visual Digital Storytelling agli Online Journalism Awards 2018. Il giocatore si veste dei panni di un membro della tentacolare flotta di autisti Uber che si destreggia tra tariffe correnti, manutenzione del veicolo e, inaspettatamente, work-life balance: l’autista in questione, infatti, deve necessariamente tornare a casa per aiutare suo figlio coi compiti.

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