Social Recruiting e Web Reputation: le implicazioni legali

Social Recruiting e Web Reputation: le implicazioni legali

 

La ricerca del lavoro si fa sempre più social: Linkedin e Facebook vengono sempre più utilizzati in fase pre-assuntiva. In un mondo in cui LinkedIn ha sostituito il Curriculum Vitae e le banche dati online sono succursali delle Risorse Umane, ogni azione compiuta in rete, soprattutto se pubblica, ha potenziali ripercussioni sulla sfera lavorativa.

 

È un modo semplice e poco dispendioso, per HR e head hunter, di verificare le competenze dei candidati prima di un colloquio ed assumere informazioni sullo stesso, ovvero ancora per andare a "caccia" di talenti anche quando gli stessi non si siano candidati spontaneamente per una determinata posizione.

Ci sono dei limiti a questa attività di indagine?

In Italia, a differenza di altri Paesi dove le indagini pre-employment sono regolate, o legittimate solo a fronte di una precedente informativa fornita ai candidati (ad esempio in Francia), non abbiamo una regolamentazione ad hoc.

Il riferimento normativo fondamentale in materia rimane, in assenza di una nuova disciplina, l'art. 8 dello Statuto dei Lavoratori che vieta al datore di lavoro di compiere indagini, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto, sulle opinioni religiose, politiche o sindacali del lavoratore nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale.

Va comunque osservato che i social network sono di fatto da considerarsi alla stregua di una "pubblica piazza": per la giurisprudenza maggioritaria, i social sono da ritenersi "aperti" e, come ha osservato già nel 2010 il Tribunale Civile di Monza in una delle primissime sentenze sul risarcimento di danni per diffamazione a mezzo social, "in definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di Facebook sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono: rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto" (Trib. Monza, Sezione IV Civile, sentenza 2 marzo 2010, n. 770).

Curare la Web Reputation è fondamentale

La giurisprudenza di legittimità ha peraltro avuto modo di pronunciarsi anche sul caso in cui, nell'ambito di un rapporto di lavoro, venga creato dall'imprenditore un "alias" o un "fake" per interagire su Facebook con il proprio dipendente.

Secondo la Cassazione, "la creazione di un falso profilo Facebook non costituisce, di per sé, violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto lavorativo, poiché attiene a una mera modalità di accertamento dell'illecito commesso dal lavoratore, non invasiva né induttiva all'infrazione, funzionante come mera sollecitazione del lavoratore stesso" (Cass. 27 maggio 2015, n. 10955).

Dal lato del lavoratore o "candidato" diviene quindi di estremo rilievo curare la propria web reputation: non a caso online proliferano i sistemi per monitorare e valutare la propria "reputazione digitale". Un recruiter su tre ha escluso profili per via dei social, nello specifico per pubblicazione di contenuti o foto improprie (35% nel 2015, rispetto ai 25,5% del 2014 e al 12% del 2013).

Sul punto, va anche ricordato che recentemente (con provvedimento n. 488 del 2016) il Garante della Privacy ha posto un argine alla possibilità di "catalogare" attraverso algoritmi la reputazione online delle persone fisiche.

La decisione dell'authority si riferisce a un progetto per la misurazione del "rating reputazionale", basata su una piattaforma web e un archivio informatico, che avrebbero dovuto raccogliere ed elaborare una mole rilevante di dati personali contenuti in documenti "caricati" volontariamente sulla piattaforma dagli stessi utenti, ovvero "pescati" dal web. Tramite un algoritmo, il sistema avrebbe poi assegnato ai soggetti censiti una serie di indicatori alfanumerici finalizzati a fornire un "punteggio" alla affidabilità delle persone in campo economico e professionale.

Nel disporre il divieto di qualunque operazione di trattamento, presente e futura, il Garante ha ritenuto che "il sistema comporti rilevanti problematiche per la privacy a causa della delicatezza delle informazioni che si vorrebbero utilizzare, del pervasivo impatto sugli interessati e delle modalità di trattamento che la società intende mettere in atto".

Pur essendo infatti legittima, ricorda il Garante, l'erogazione di servizi che possano contribuire a rendere maggiormente efficienti, trasparenti e sicuri i rapporti socioeconomici, il sistema in esame "realizzato peraltro in assenza di una idonea base normativa, presuppone una raccolta massiva, anche on line, di informazioni suscettibili di incidere significativamente sulla rappresentazione economica e sociale di un'ampia platea di individui (clienti, candidati, imprenditori, liberi professionisti, cittadini)".

L'Autorità Garante ha altresì espresso le proprie perplessità sull'opportunità di rimettere ad un sistema automatizzato una valutazione su aspetti così delicati e complessi come quelli connessi alla reputazione.

 

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